Ma tu entra! entra! Te l’ho detto. Non startene lì impalato. E, soprattutto, non te la prendere con il nostro Pietro. E’ vecchio, ormai. Se pensi da quant’è che è qui... Anche per lui gli anni passano e diventa sempre più distratto e brontolone... E sempre più me ne combina... Tanto che, se non fosse per l’affetto, avrei già pensato tante volte di sostituirlo... Io glielo dico sempre: ‘Pietro, tu sei troppo formalista e severo... E poi quando si presentano devi stare attento a chi sono..’. Tempo fa... Ti racconto solo l’ultima... Quando si presentò qui Giacomo, il grande poeta di Recanati, il nostro Pietro, lo prese per Alessandro, quello dei ‘Promessi Sposi’; e fu subito ospitale e ossequioso: ‘Oh, Alessandro, già qui! Accomodati! Accomodati! Persone come te fanno onore al luogo. Ora viene l’angelo e ti faccio accompagnare al tuo seggio...’. E incominciò a parlare del romanzo, fresco di pubblicazione, e di Lucia, la protagonista: ‘Lei sì che è una degna figura di ragazza! Mica le sue svenevoli sorelle romantiche, sensuali e lussuriose... E poi la signora Ermengarda, quella delle tragedie; anche lei una giovane del tutto degna... E quel Carlo a trattarla così...’. E il nostro Giacomo capì subito il ‘qui pro quo’ di Pietro; e ‘Anche in Paradiso, pensò, ce lo hanno per l’insù questo tardivo convertito, questo cantore della Pentecoste’. Ma non se la prese. E da quel buontempone che in realtà era, faceva parlare il nostro ingenuo Pietro e se la rideva. Specialmente alle lodi di Lucia, lui assentiva e sorrideva in quel suo viso ironico. Lui, che, invece, le donne le aveva conosciute di tutt’altra
pasta: c’era la vanità della donzelletta e c’erano Silvia e Nerina, le quali, prima di ammalarsi, s’erano date buon tempo in radunanze e feste; poi c’era la ‘sua donna’, a cui, nelle sagre del paese, piaceva civettare coi giovanotti, adescarli e poi piantarli in asso; inoltre, la più famosa, Aspasia, con il suo perbenismo di sposa e di madre; in realtà una seduttrice senza scrupoli, colei che illuse e fece soffrire il nostro Poeta, fino a farlo approdare al ‘pessimismo universale’ e al ‘nulla eterno’, tu lo sai; infine la ‘per divina beltà famosa Elvira’, la giovane dal cuore d’oro, simulatrice d’amore e bugiarda... Fui io a questo punto a prendere per mano il nostro Giacomo e a salvarlo da quel profluvio di lodi che in realtà erano per il suo avversario. E pensa la faccia che avrebbe fatto il nostro Pietro (io non glielo dissi) se avesse saputo che l’anima a cui parlava con tanto ossequioso e religioso rispetto era in realtà quella di Giacomo Leopardi, il miscredente, l’ateo... Ah, dimenticavo... Fra Alessandro e Giacomo... Lo straordinario è che ora, nell’ironia dell’eternità, la quale ridimensiona tutte le cose del vostro mondo, loro due sono diventati amici; amici per la pelle.
Ma è il momento che andiamo, mio caro Scrittore. Ti accompagno a occupare il tuo posto assieme agli altri, in quella scelta adunanza in cui Dante, lo scomodo fiorentino, è il nostro fiore all’occhiello; e in cui, fra non molto, verrà anche la tua poetessa, quella che ha cantato ‘Cresci nel cuore il seme della morte’ e che, rivolta a me, ha invocato ‘Dammi, o Signore, il dono delle lacrime’; colei che tu chiami col dolce nome di Nanna, ancora semicieca; ma, se Dio vuole! (e qui gli strizzò l’occhio divertito), senza più dolori agli ossi e alle gambe; e senza più allergie”.
(dal racconto ‘Nell’ironia dell’eternità’, dedicato allo scrittore C. Lorenzini)
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