Quella sera Luigi era arrivato più presto del solito a posare la sua bicicletta nel capanno della piccola fattoria subito ai piedi della collina. Era stata la gentilezza del proprietario, erano stati
amici da ragazzi su in paese, a offrirgli il riparo nel capanno: “E che fai? spingi la bicicletta fin lassù?”; “E se no, come?”. “La metti qui da noi, nel capanno e la riprendi al mattino. E poi potevi anche chiederlo… Altrimenti, l’antica amicizia a che serve?”. Era un capanno aperto, una specie di tettoia, che serviva soprattutto per riparare dalle intemperie il carro dei buoi. E così la posava alla sera e la riprendeva al mattino. Per recarsi al lavoro giù nella tenuta di Marinella, in qualità di operaio agricolo. Era operaio tutto fare, a seconda della necessità delle stagioni. Ora, era dicembre ed eravamo sotto Natale e negli uliveti dell’azienda c’erano ancora olive da bacchiare, da raccogliere e da molìre. E poi c’era tutto il daffare nelle cantine: il primo generale travaso del vino, che andava messo al pulito per un suo secondo turno di riposo.
Generalmente arrivava a rimettere la bicicletta tra le sette e le otto di sera.
Ma quella doveva essere una serata speciale. Aveva incontrato la Carolina la domenica prima; o meglio, sapendo che era in paese, aveva finto di incontrarla per caso sulla curva del Colletto, ed invece l’aveva appostata, mentre ritornava a casa. Si era fatto coraggio e glielo aveva chiesto: “Potremmo parlare noi due; potremmo metterci d’accordo”: Lei (sapeva di cosa si trattava), non aveva risposto. Fu lui che disse: “Potrei passare da te una di queste sere...”. Poi, visto che la donna non diceva niente, fu lui che decise: “Se ti va bene, per martedì, dopo domani, verso le otto di sera, quando torno dal lavoro”. Lei accennò di sì. “A quell’ora, commentò l’uomo, le ragazze non ci saranno più”. E la donna lo aveva salutato sorridendo leggermente e aveva proseguito lungo la via verso casa, lì appresso. E lui, lungo la stessa via, piano piano, era risalito su al borgo.
La conoscevano tutti in paese la Carolina. Sui trentacinque anni, ancora del tutto piacente, la persona sempre ben curata, sobriamente elegante. Era maestra di cucito in quella sua casa isolata a mezza costa della collina, lungo la via nuova, dove viveva sola.
E la mattina del martedì Luigi aveva avvertito la figlia Dora che sarebbe tornato tardi la sera: un lavoro straordinario in fattoria...
Ma sul lavoro il pensiero dell’importante decisione che stava per prendere gli aveva messo addosso l’ansia di arrivare prima all’appuntamento. E di nuovo aveva detto la bugia: “C’è mia figlia che desidera le faccia il presepio, e oggi ne abbiamo già venti: se potessi andar via un paio d’ore prima”. E il dirigente glielo aveva concesso, anche perché il lavoro della cantina era oramai terminato. E così, posata la bicicletta, si era avviato verso il paese che erano da poco passate le sei. Era già notte. Le rare luci pubbliche illuminavano debolmente la via. Andando pensava alla Carolina. Ma più che alla Carolina pensava alla donna e all’amore in generale. Avere di nuovo accanto il calore di una donna... Da quant’era che non provava la meravigliosa sensazione? Oramai erano passati cinque anni…
Arrivato in cima al primo tratto di montata si fermò affacciato al murello che guarda, laggiù sotto, il Parmignola. La notte limpida e piena di stelle invitava agli indugi, alla contemplazione, al flusso dei pensieri, dei ricordi. Di fronte, di là dal torrente, il borgo di Serravalle; alla sua destra il ponte, il ponte di San Rocco. Ripensò. Era lì, sul ponte, che alla sera, ogni volta che poteva, aspettava la Gina che, assieme ad altre compagne, quell’estate, scendevano da Casano; dove, in gruppetto, due o tre volte la settimana, si recavano presso una sarta maestra alla scuola di cucito. Arrivavano giù dalla strada del frantoio. Quando lo vedevano fermo sul ponte, le altre si guardavano tra loro e poi, sorridendo ironiche, guardavano la Gina, che diventava tutta rossa: “Hai visto che lui c’è?! Le tue paure!”; la quale
rallentava, mentre le compagne affrettavano il passo per distanziarla e agevolarle l’incontro con il corteggiatore. Poi: “Ciao, Gina”; “Oh, Luigi”. E non si davano neanche la mano. Troppo ardire sarebbe stato. Solo si guardavano e si sorridevano. E con quel suo sorriso lei gli diceva che oramai viveva solo per essere aspettata da lui ogni volta su quel ponte. Ed era bella la Gina. Aveva i capelli castani e li aveva abbondanti e vivi, con le sue trecce capricciosamente mosse sul petto o lungo la schiena, come molte delle ragazze nicolesi. E anche gli occhi aveva del colore delle castagne. E a lui bastava guardarla e gli bastava il sapere di essere amato da quella fanciulla che aveva tutti i profumi e le soavità della primavera e aveva la sua personcina così minuta e graziosa, che in un abbraccio avresti avuto paura di romperla.
Poi, dopo il corteggiamento, il fidanzamento; e presto il matrimonio; con Gina un boccio di rosa che stava aprendosi in fiore dai colori e dai profumi tutti spiegati e inebrianti. E subito le nascite dei figli. Prima Mario. E poi, dopo una gravidanza non riuscita, Dora.
Intanto Luigi aveva ripreso il cammino, su per il secondo tratto di montata, quella che arriva alla Capannetta. La quale montata, a metà via, si affaccia come un balcone in vista della pianura di Luni, fino al mare di Marinella e fino a Sarzana. Uno spazio pieno di luci. Quasi a voler competere con il firmamento del cielo. Con qua e là gruppi di case, quasi minimi villaggi, illuminati come tanti presepi. Guardando, si ricordò ancora che anche lui doveva fare il presepio. Dopo cinque anni avevano deciso di riprendere la tradizione... E Dora era da un po’ che glielo chiedeva: “Babbo, quando lo facciamo il presepio?”. Dora aveva preparato tutto. Bastava solo un po’ di volontà e un po’ di confidenza con i fili elettrici. La volontà ce l’avrebbe messa Dora. Ma maneggiare fili elettrici, quello era compito del babbo… Dora… Era stato dopo la nascita di Dora, che la sua Gina aveva incominciato a tossire… Ma era stata una cosa passeggera. Poi si era ripresa, tanto che aveva potuto allattare la bambina; che era cresciuta in salute, in grazia e in dolcezza. Una ragazza che era un tesoro. Sembrava avesse il compito di compensare la vivacità di Mario. Di fronte all’esuberanza del fratello, lei cresceva docile e remissiva piena di affezioni e di tenerezze. Ma, in fondo, il babbo era orgoglioso di tutti e due i figli, virtuosi e saggi pur nella diversità dei caratteri.
Alla Capannetta ebbe di fronte, lassù in lontananza, il santuario. A Ortonovo non si risparmiavano: una grande ‘M’ , che prendeva tutta la facciata della chiesa, sfolgorava nel buio della notte, a dimostrare l’intensa religiosità estroversa e piena di folclore dei paesani e a ricordare la protagonista di questo straordinario evento: Maria, che nella sua umiltà, in situazioni drammatiche (la neve, la stalla, la mangiatoia, la paglia, i pastori, il bue e l’asinello), diede alla luce il Re dell’universo, il Redentore degli uomini. Il pensiero di Maria e della sua maternità riportò alla coscienza dell’uomo antichi ricordi. Quando nelle sere avanti il Natale il presepio lo facevano assieme, lui e la Gina. O meglio lo faceva la Gina. Lui, al solito, era l’esperto per l’impianto delle
luci. Mentre, erano le mani agili ed eleganti della Gina, guidate dal suo buon gusto, a mettere, a togliere, ad aggiustare, a modellare, a rifinire, a distribuire, a equilibrare, era il suo estro inventivo ad avere la visione di insieme e a crearla. E lui era lì soprattutto per rispondere affermativamente alla frequente domanda di lei; “Così ti va?”, “Così ti piace?”; “Così è perfetto!”. Ma lui era lì anche per un’altra cosa: quegli occhi di lei pieni di luce mentre realizzava; quel suo sorriso pieno d’amore mentre lo guardava e gli chiedeva l’assenso, quelle sue mani, così femminili e così prensili e realizzatrici mentre creava; e quella sua persona così armoniosa e piena di fremiti nel fervore della creazione… Era lì anche per un’altra cosa…
Poi… Era stato durante la realizzazione dell’ultimo presepio, cinque anni prima… Che, da allora, non si erano fatti più presepi in casa.
Si era accorto che l’intensa suggestione di quei ricordi gli aveva inumidito gli occhi. E che quel continuo rievocare gli rallentava l’andatura. Erano già le sette. Le stava scandendo il campanile lassù in alto. Oramai tanto valeva arrivare all’orario convenuto. Non prese, quindi, il terzo tratto di scorciatoia. Proseguì per la via nuova. Una via in cui avrebbe allungato, rispetto alla montata. Ma, più ampia e agevole, sarebbe stato più comodo e piacevole, andando, indugiare a pensare e a rievocare...
Tutto era successo durante la creazione del presepio cinque anni prima. Improvvisamente (a lungo il fuoco aveva covato sotto la cenere) un colpo di tosse che le lacerò il petto alla Gina. Poi un secondo. Poi un terzo. Tanto che dovette smettere di lavorare e dovette stendersi a letto. Perché, d’un tratto, l’aveva anche aggredita uno sfinimento di debolezza, mortale. Il presepio quell’anno rimase incompiuto. E anche la vita della Gina, dopo un alternarsi di cadute e di riprese, si era interrotta a metà. Si era fermata dopo qualche mese. Nella primavera dell’anno seguente.
Oramai, superati i castagni della Vedova, la casa della Carolina era vicina. Ma, lo sentiva: non era più nello spirito adatto per quell’incontro. I ricordi gli avevano preso il cuore e lo avevano frastornato. Comunque, era lo stesso intenzionato a bussare. Le cose presenti l’avrebbero vinta su le cose lontane. La commozione, colpa più che altro dell’atmosfera natalizia che seduceva all’intenerimento, sarebbe passata. E tutto si sarebbe svolto secondo il desiderio di entrambi.
Anche di Carolina... Sapeva il motivo per cui Luigi si era invitato... E in fondo non era scontenta... Se dopo l’insuccesso del suo fidanzamento (quanto aveva amato! e in che modo cieco e assoluto!), aveva desiderato una vita nel silenzio e nell’isolamento, ora, gli anni, la solitudine, il futuro... forse le facevano paura...
Luigi, avvicinandosi alla porta, sentì gente che discuteva all’interno, in un’animazione di molte voci. Si scostò da una parte. Nascondendosi nel buio. Attese che l’uscio si aprisse. Si aprì quasi subito. E vide nel fascio di luce la Carolina che stava salutando le ragazze e alcune mamme, che erano venute a prendere le figliole, per accompagnarle, data l’ora tarda... Scesero nella via. Ma erano nella via che ancora chiacchieravano e salutavano. Poi in gruppo chiacchierando tuttavia si diressero verso il paese. E, quand’ebbero svoltata la curva del Colletto, tutto ritornò nel silenzio.
Ormai si doveva essere vicini alle otto. E Dora, da massaia scrupolosa e metodica, senz’altro stava mettendo tavola. E lui immaginò le proteste della ragazza, mentre preparava la mensa: “Povero babbo, sempre indaffarato. Chissà a che ora arriverà a cena”. La sua Dora! Così piena di premure per il babbo!. Immaginò la sua reazione alla notizia che in casa sarebbe venuta un’altra donna al posto della mamma. E anche la reazione di Mario; anche lui aveva conservato una specie di venerazione per la memoria della mamma. E’ per questo che non aveva avuto il coraggio di informarli sul vero motivo del suo eventuale ritardo, quella sera... Ma si impose di pensare all’incontro con la Carolina. Dopo tutte le bugie che aveva distribuito per realizzarlo, non voleva che … E cercò di immaginarla come moglie. Ma di nuovo ripensò alla Gina. Quando la sera, prima di andare a letto, erano un momento in cucina soli che lui leggeva il giornale e lei cuciva. Come lo guardava ogni tanto, alzando gi occhi dal lavoro...
Con quale intensità e soavità di sguardi.... Oh, la Gina!. E non attese che suonassero le otto. Il cuore non gli resse. “Si vede che non è destino”, concluse fra sé, “Né per me, né per lei”. E si avviò verso casa. “Forse, disse ancora fra sé, andando, forse farò in tempo a cenare con loro. E a incominciare a por mano al nostro presepio. Che ormai è l’ora”
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