E in questi tempi di gravi calamità in Italia, in cui Napoli, la città dei poeti e degli innamorati, la città del sole del mare del cielo e della poesia, sembra essere sommersa da montagne di spazzatura, in un momento in cui, per colpa degli uomini, il degrado della civiltà è qui presente e palpabile, in questo momento tragico della nostra vita, un racconto fresco e primaverile, un racconto fantastico che dice di una bambina, Alina, e di un folletto, Galael, che si incontrano in un bosco in riva ad un laghetto e diventano amici. L’ottimismo della scrittrice, Maria Giovanna Perroni, sembra proprio avere un sentimento di riguardo per l’uomo e per il suo destino. Leggete e ne resterete francescanamente ammirati.
Alina era una bella bambina di nove anni, capace di incantare con la grazia del suo portamento; ma soprattutto con lo sguardo di due occhi limpidissimi e innocenti. Era sempre serena. Ma amava la solitudine; e si rifugiava spesso nel grande bosco vicino alla villa dove abitava. I genitori ve la lasciavano andare senza timore; perché Alina era una bambina saggia; e, poi, nel bosco non c'erano animali feroci; né contrabbandieri; o comunque gente pericolosa. Il luogo in cui abitavano era un luogo tranquillo e appartato. Alina faceva lunghe passeggiate, cogliendo fiori, o ammirando il rincorrersi di variopinte e grandi farfalle; oppure si sedeva in riva ad un piccolo laghetto, curiosa della vita che vi si svolgeva. Anche durante gli inverni, in quella località piuttosto miti, andava nel bosco: quando non pioveva o non nevicava. Ma un giorno, in questo suo bosco, non fu più sola. Proprio in riva al lago aveva fatto un incontro straordinario. Aveva conosciuto uno spiritello, diafano, dai capelli biondissimi, e dalle lunghe ali di libellula; che si nutriva di rugiada e del nettare dei fiori. Galael, così le disse di chiamarsi lo spiritello, le confidò che assai raramente si faceva vedere dagli uomini; di cui non si fidava. Si mostrava solo ai bambini; ed unicamente a quelli di loro che gli sembravano buoni e gentili. Del resto, viveva lunghi periodi in solitudine. Ma oramai desiderava una compagnia: voleva essere lei la sua amica? Esigeva però che Alina non dicesse mai a nessuno dei loro incontri. Altrimenti gli uomini sarebbero venuti a cercarlo; e, se lo avessero preso, avrebbe certamente fatto una brutta fine. Essi, infatti, gli uomini, sciupavano tutte le cose belle. La bambina promise. Tanto non le importava gran che delle tre o quattro amichette che aveva a scuola; inoltre con i suoi genitori non aveva molta confidenza; e poi intuiva che, comunque, una tale avventura non sarebbe stata creduta.
Così ora Alina andava ancor più spesso nel bosco. E Galael, dopo essersi assicurato che nessuno seguiva la bambina, la raggiungeva. E rimanevano insieme ore e ore; stando seduti in riva al laghetto; oppure camminando e ammirando la natura tutto attorno. Galael sapeva rapire Alina, di qualunque argomento parlassero. E Alina non capiva come lui potesse sapere tutte quelle cose che le diceva. E tante altre cose non capiva e non sapeva di Galael. Non sapeva se era giovane o vecchio. Ché a volte sembrava un bambino come lei; altre volte sembrava antico quanto il mondo. Provava una specie di sgomento di fronte al mistero di quell'essere straordinario; e nello stesso tempo era lusingata, perché Galael, per sua compagnia, aveva scelto proprio lei. Per cui, nonostante la curiosità, non si sentiva di interrogarlo in merito alla sua vita. Era troppo bambina. Ed era troppo bambina anche per porsi determinate domande; che sembravano invece toccare la vita di Galael. Prendeva tutto quello che lui diceva; e accettava il suo mistero, come cosa naturale e scontata.
D'altra parte Galael non parlava quasi mai di sé; e poco parlava degli uomini. Parlava solo del mondo, delle piante e degli animali. E sotto la magia delle sue parole, Alina si accorgeva di vedere tutto diverso; ogni cosa le appariva in una luce meravigliosa. Le cose erano più belle, più interessanti e più ricche. E poi la gioia di entrare ogni volta in dimensioni per lei sconosciute; quando, con parole facili e comprensibili, il suo amico parlava della creazione del mondo; delle grandi forze della natura nel miracolo di un meraviglioso equilibrio, oppure in lotta e in contrasto fra di loro; dell'origine dei mondi; della formazione delle montagne, delle pianure, dei mari; dei vari continenti; della nascita della flora e della fauna. Galael era fratello del mondo; ed era fratello specialmente delle piante e degli animali: ne conosceva singolarmente la storia; ne descriveva la natura i cambiamenti. Gli era famigliare la vita, come se anche lui avesse vissuto con loro, delle piante e degli animali oramai estinti da ere geologiche; e parlava anche di quelle piante e di quegli animali che, dalla loro nascita, erano così cambiati, da non riconoscerli più in confronto dei loro aspetti originali. Stando con lui, la fanciulla si apriva alla bellezza all'armonia e ai misteri del creato; e si entusiasmava della vita e dei suoi doni. Ogni volta lo ascoltava rapita; e non se ne sarebbe mai staccata. Ma Galael era un essere saggio. E ogni volta sapeva quando era il momento di congedarsi da lei. Anzi, a mano a mano che gli impegni scolastici della fanciulla crescevano, Galael si adattava a vederla sempre per meno tempo. Voleva che lei vivesse in pieno la sua vita. A scuola Alina era brava. E forse lo era soprattutto per merito di Galael. Nelle composizioni scriveva cose piene di concretezza e di poesia; e la sua mente, oltre che naturalmente fantastica, era anche serena e lucida; dominava ogni dimensione della realtà. Non si rifiutava ai più complessi problemi di matematica; e per le scienze poi aveva una vera passione; anche se avrebbe preferito che fossero trattate in modo meno arido. E ogni tanto le uscivano affermazioni che facevano stupire gli insegnanti e che non avevano riscontro nel sapere umano. Ma poi la cosa finiva lì. Ma, quando a scuola incominciarono a studiare a fondo la storia dell'uomo e delle sue grandi città, Alina avrebbe voluto parlarne con Galael; perché, così pensava, raccontata da lui, anche la storia degli uomini sarebbe diventata più bella e più interessante; come era stato per la storia della natura. Ma Galael conosceva poco l'uomo e odiava le città. E ad Alina ciò non sembrava giusto. E si sentì inquieta e addirittura infelice. Capì che questo poteva essere un punto di rottura per i loro rapporti. Perché, infatti, Galael non voleva fare esperienza del mondo degli uomini? Il suo mondo? Allora non le voleva bene? E poi lei aveva bisogno che lui le parlasse degli uomini e delle loro città e che gliele facesse conoscere e amare; come, assieme a lui, aveva imparato a conoscere e ad amare la natura. Lei, infatti, non aveva mai visto vere e proprie città. E sarebbe stato meraviglioso conoscerne qualcuna attraverso le magiche parole del suo misterioso amico! Perché, dunque, egli non volava in una delle più grandi e delle più vicine e non tornava poi a narrargliene? Ma Galael non voleva farlo. Sapeva ancestralmente che l'uomo era immaturo e pericoloso; e che in città non si sarebbe potuto nascondere come nel bosco. Però Alina incominciò a disperarsi e quasi ad ammalarsi per la delusione. E allora Galael partì. Ma la fanciulla ne attese invano il ritorno.
E passò il tempo.
Poi finalmente la ragazza: oramai non era più una bambina: ebbe l'occasione di partecipare ad una gita scolastica, proprio nella città in cui si era recato Galael. Al loro arrivo, i professori vennero informati che nel locale Istituto di Scienze Naturali era tenuto prigioniero un vero fenomeno: si trattava di una specie di mostricciatolo trasparente e con le ali; oggetto di ostinate quanto inutili indagini da parte dei più illustri scienziati; e che veniva trattenuto per ulteriori studi e ricerche. Vi condussero la scolaresca in visita. E così Alina poté rivedere il suo povero Galael. Ma quant'era malridotto, con le sue belle ali di libellula miseramente sciupate! Non era che una larva del Galael dei bei tempi, in riva al loro laghetto. Rinchiuso in quella piccola gabbia di vetro, faceva anche fatica a respirare. Alina nel vederlo diventò pallida; quasi svenne; e dovette appoggiarsi, per non cadere. Galael, invece, fu lieto di rivederla, finalmente. E incominciò a parlarle. Ma non pronunciò parole. Le parlò nella mente. E forse le aveva sempre parlato nella mente. Le disse che gli dispiaceva di non averla accontentata: avrebbe voluto, ma non gli era stato possibile tornare, per raccontarle le sue avventure. Comunque non avrebbe potuto dirle nulla per farle sembrare bella la città e il mondo degli uomini. Poteva solo raccomandarle di non odiarli. Gli uomini non capivano; non sapevano; dovevano ancora progredire; erano ancora troppo rozzi e ignoranti; per cui credevano di essere nel loro diritto a trattarlo in quel modo. Del resto, credevano di essere i padroni della natura. Ma, dal momento che non erano poche le Aline in questo mondo, per l'umanità c'era ancora speranza. Quanto a lei, non doveva dimenticare, come non dimenticava lui, i bei giorni felici nel bosco, in riva al loro lago. E lui ora poteva morire contento, perché l'aveva rivista; e perché sentiva che, con quella loro amicizia, anche la sua vita si era pienamente realizzata. Finora si era trascinato nella speranza, presentimento forse, di poterla rivedere. Ma oramai non avrebbe più bevuto quell'acqua impura che gli davano da bere; e avrebbe fatto in modo di affrettare la sua fine. Poi, dopo queste parole, le mandò un bacio con la sua piccolissima mano. Quindi si sdraiò e chiuse i suoi bellissimi occhi. Alina guardò le tremule ali verdazzurre e la evanescente delicata figura; finché le lacrime, che si stavano formando, glielo permisero. Poi dovette allontanarsi; anche perché gli altri oramai avevano terminato il giro delle varie stanze.
E pianse a lungo durante il ritorno; e poi pianse nella sua cameretta; e chiese cento volte perdono al suo Galael della sua triste curiosità.
In un primo tempo odiò gli uomini. Ma, a poco a poco, fece come il suo fantastico amico le aveva raccomandato. Ricordò, come poteva, i giorni felici; e spesso andò al bosco ad ammirare, a ripensare e a vivere di struggente nostalgia. Conservò sempre nel cuore la poesia di Galael: di ciò che aveva rappresentato e rappresentava per lei; e di ciò che le aveva insegnato nella dolcezza delle sue affascinanti parole. E, quando fu adulta, non odiò gli uomini; anzi, fedele ai suggerimenti del suo antico maestro, cercò di comprenderli, di amarli e di educarli alla conoscenza e al rispetto della natura e di se stessi. E lo fece con mille bellissime liriche, e con mille bellissimi racconti. Che girarono per il mondo; e dagli uomini furono letti e ammirati. E contribuirono grandemente ad affinare la loro sensibilità e a guidare la loro coscienza morale.
Autore. Maria Giovanna Perroni Lorenzini.
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