giovedì 29 novembre 2007

VISIONI D'AUTUNNO

L’altro giorno avevo promesso che avremmo parlato dell’autunno. Ed eccoci qui a farlo. Con cinque poesie di mia moglie e con due brani miei. Uno dal racconto ‘Le castagne’, pubblicato ne ‘Il ritorno di Ulisse’ e l’altro dall’inedito ‘Un autunno per Antonia’. Ma a parlarvi io, di quale autunno?
Di quello in Autunno, appunto, in cui l’autunno è metafora del nostro tramonto della vita e insieme solenne preghiera in cui abbiamo una religiosa accettazione della morte?
Oppure la visione che abbiamo in Nebbia di Novembre, di un autunno angosciante, un paesaggio da colori metallizzati, una poesia che lascia stupiti?
O quello de Il mio autunno, in cui c’è il confronto fra l’autunno della natura generoso ed amico; e quello nostro, che invece è sterile e ostile?
O l’autunno di Foglie di novembre. Le quali, oramai in balia del vento, e disposte in varie geometrie, si esibiscono grottescamente nella danza macabra dell’addio?
Oppure quello ne Il rinnovarsi del mistero: un autunno che prepara la terra ad una nuova generazione. Un’atmosfera di religioso stupore.

O infine l’autunno dei miei due brani, tutto sommato, sereno ed idillico. Un’atmosfera distesa e tranquilla. Il paesaggio autunnale ortonovese e nicolese, nella sua castità di un tempo.
Vedete come cambiano le cose, a seconda di chi le guarda. Ad ognuno il suo autunno. Perché ad ognuno il suo mondo e la sua poesia. Infatti anche la poesia, cioè anche l’anima, come il sangue, come i tessuti, ha il suo dna. Per cui, leggete e poi parlatevi voi del vostro autunno. Che, lo so, sarà bellissimo e sarà unico.

Comunque, ora, prima di iniziare a scrivere e a parlarvi del vostro autunno, godetevi queste cinque poesie di mia moglie e i due brani miei.


Autunno
Quasi indugiando ad abbassare il velo,
io m'attardo a guardare la mia sera:
"Fa che non resti, il tempo dell'Attesa,
nuda, qual vite dopo la vendemmia;
ma che sol doni ancora qualche frutto...
E poi, lasci salire la Marea;
anzi, l'accolga nel Tuo Santo Nome".

Nebbia di Novembre
Da giorni c'è
la nebbia di Novembre,
bianco-grigiastra,
immobile, insistente.
E il sole, disco opaco
tra i vapori, vi piange invano,
in mezzo, le sue lacrime,
d'un oro antico
misto a stinto bronzo.
E, col buio,
brumosa appar la luna,
perla pietrosa,
erosa dalla ruggine;
e se dal cielo
strappa qualche luce
la squaglia
in molli gocce bruno-argento.

Il mio autunno
Autunno
s'ingravida di frutti
e s'incurva nei rami carichi,
in paziente attesa
di essere spogliato;
ristora
d'un più fresco tepore
le ormai pendule foglie,
che non soffrano,
non s'accorgano
se l'umore vitale
intanto si ritrae.
Il mio autunno
è più avaro
e meno lene.

Foglie di novembre
Il vento ora le appende, in un cordone
color ruggine, in cima a una grondaia:
pare corona lacera o festone
di una festa d'estate, ormai lontana;
poi, di colpo, le spande nuovamente.
Ed, a quel mugghio d'organo scordato,
ora fanno geometriche figure:
cerchi, ruote e triangoli infiniti;
o mulinano in vortici primevi
in una mesta parodia di vita,
macabro ballo di persone morte...
Indi, violento, un turbine le avvolge,
le rapisce come anime perdute,
e caccia pure l'ultima parvenza
di questa folle - danza dell'addio -.

Il rinnovarsi del mistero
Già pregna,
questa terra
di novembre,
o amante
ancora in cerca
dell'abbraccio,
s'adagia
in bei tappeti
di velluto;
ad un colpo di vanga
si rinnova,
da secca e dura
in morbida e umorosa;
gettàti gli anni
i secoli
e le ere,
apre il suo seno
pronta a rifigliare.
In ginocchio
alla sponda
di quel letto,
vi imprimo con la mano
il segno lieve
di una furtiva effimera
carezza;
inabile
a sanare
il disamore;
pur grata
al rinnovarsi
del mistero.


Ed ora i miei due brani. Leggendo i quali capirete anche il perché abbiamo caratterizzato il titolo di questo blog con la parola carmina, pur essendo un luogo in cui sono mescolate poesia e prosa. Perché anche la mia prosa, come le sue poesie, spesso è una prosa lirica, è prosa d’arte. E' carmen.
Infatti noi in quest’epoca di una nostra lingua inglesizzata e deturpata da pressapochismi, da frettolose sigle matematiche; di una lingua che è la proiezione della schzofrenica fretta moderna; ed è il risultato dello scempio che le Istituzioni, per i più vari motivi, economici sociali e politici, hanno permesso del Latino; noi proponiamo una lingua che sia la proiezione della serenità di un animo che non ha fretta, che è in pace con se stesso, e che vive secondo i ritmi della saggia e armoniosa legge di natura; una prosa che sia nobile ed elevata, concreta e fascinosa, che sia ampia e luminosa come certe nostre albe e certi nostri tramonti. E quando scriviamo noi non vogliamo guardare l’orologio, ma vogliamo guardare il nostro spirito nei suoi stupori di fronte ai vari spettacoli che ci offre la ricchezza della vita. Vogliamo creare la pagina con diligente attenzione, vogliamo meditare sulla poeticità della parola; vogliamo girarci attorno al nostro manufatto e osservarlo in tutti i particolari, per vedere se tutto torna e se tutto è in armonia. Noi vogliamo avere il gusto, la competenza, la pazienza e il genio degli antichi nostri artigiani. Quelli che fecero splendida la nostra Italia. Perché noi vogliamo essere gli artigiani della nostra pagina. Ma ecco le pagine.


Idillio
Sempre l'autunno con i suoi frutti variopinti ad adornare
alberi oramai stanchi; coi suoi freschi tepori; con i suoi
limpidi mattini; con le sue dolcissime e silenziose e tenere
sere: era scesa la sera; e nella strada, oltre il fiume, il
tardivo carro dai campi; e poi, nel silenzio, il canto di
uccelli notturni e dei rari e ultimi grilli; negli interni,
i camini già accesi, il brontolio impaziente del vento, il
profumo di mosto, e gli aromi di alloro e di castagne
bollite: con i suoi operosi riti agricoli; con le sue
intenerite malinconie, giungeva per me come la mistica
rivelazione di un miracolo: era la dea Natura che appariva
agli uomini, dispensatrice dei suoi infiniti doni di
bellezza, di bontà e di utilità.
Rientravo i primi giorni a scuola, ancora stupito, negli
occhi e nel cuore, come per inebrianti e magiche visioni.
L'animata attività degli assolati vigneti, in cui le
ricche vendemmie si trasformavano nel vocìo di allegre feste
campestri;
le concitate e gioiose svinature, con la scintillante
seduzione degli spumeggianti mosti, in cui le torbide
schiumosità presto si schiarivano in limpide e profonde
trasparenze;
la libertà degli immensi castagneti, dalle risonanze
misteriose: nella nostalgia, la dolce visione di lunghe
serate nelle calde intimità profumate di bosco;
e, ancora, l'opulenza dei floridi oliveti, animati da
chiassose e laboriose presenze, nell'attesa delle fragranti
promesse della bruna oliva; quando poi, nelle allucinate
oscurità di cavernosi frantoi abbagliati da vulcanici
fuochi, l'antico frutto, nel tormento di purificanti martiri
al giro di ciclopiche macine, si trasformava nella dorata
lucentezza del limpido liquore;
e, infine, le domestiche cene famigliari, profumate delle
morbide e fragranti castagne.
(dal racconto edito Le castagne)


Esterno ed interno autunnali
E poi c'era l'arrivo di Carla da scuola; il pranzo
insieme; la breve passeggiata del primo pomeriggio lungo la
via nuova: i boschi oramai spogli; i castagni oramai spogli;
le olive oramai mature; negli oliveti allegre conversazioni
nella gioia della raccolta e lo sciabordio fra le fronde
delle canne maneggiate dagli esperti bacchiatori; sotto gli
alberi, lungo la via, ricci saccheggiati e castagne
abbandonate; vento di scirocco; aria nebbiosa e umida; cielo
nuvoloso e mare in burrasca; squarci di sole e scrosci di
pioggia; il rapido calare della sera; il ritorno; la breve
sosta alla Società, al bar della Elide, a fare due
chiacchiere e a prendere il caffè; il tragitto verso casa
per la via del cimitero; la bianca visione di Ortonovo; la
candida visione del Santuario; l'imponenza dei monti di
Santa Lucia e del Forte, avvolti in nubi di tempesta; la
valle di Casano ovattata di nebbia; e, lì vicino, il
cimitero deserto nel suo eterno silenzio e nella sua eterna
pace; infine, il rientro a casa, dove mia madre aveva già
acceso, ad accoglierci, un grande e vivace fuoco di
profumata legna di bosco.
E poi, io a leggere accanto al fuoco; e anche Carla a
leggere o a studiare accanto al fuoco, oppure seduta al
tavolo a correggere i compiti; e mia madre anche lei accanto
al fuoco a fare la maglia o a cucire e che ogni tanto da
dietro gli occhiali guardava me e guardava Carla e nei suoi
sogni e nelle sue speranze non diceva niente; e, alternato
alle rare parole mie o di Carla che chiedeva cose: un dubbio
nella correzione dei compiti, un dubbio nell'interpretazione
di un passo, una riflessione che amava esprimere a voce
alta: il silenzio: solo lo stormire della grande acacia lì
fuori quasi sulla soglia della porta, quando c'era vento;
solo il bruire dell'acqua nella via e contro i vetri delle
finestre, quando pioveva; solo, nel buio della sera, a
intervalli regolari, il rintocco delle ore dal campanile
subito sopra di noi; solo, giù nella via, il rumore dei
passi o delle voci di qualche passante che si affrettava
verso casa; e, inoltre, il crepitio del fuoco e il brontolio
delle castagne o degli 'erbi' nel paiolo, e il profumo di
campi o di selva che si spandeva, caldo e intimo, in tutta
la cucina...
E infine, erano le diciannove; e Carla aveva finito il suo
lavoro o lo smetteva; si alzava e preparava la cena...
(dal racconto Un autunno per Antonia. inedito).
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