LA FEMMINA. QUALCHE PUNTO IN PIU’
Ricordo (era il tempo della mia adolescenza e della mia gioventù), ricordo che l’idea della superiorità maschile era una verità comunemente accettata e indiscussa. Si succhiava con il latte materno. Era frequente in una famiglia dov’erano figli maschi e femmine, sentire le parole rivolte alla femmina: “Ma tu non puoi pretendere di fare come tuo fratello: lui è un maschio!”. E si trattava quasi sempre di libertà personale negata: le donne nella maggior parte dei casi, a seconda del loro stato sociale, per uscire, dovevano essere accompagnate dai famigliari, oppure dal marito; oppure, se erano donne sole, da altre donne amiche; mentre i maschi, fin da adolescenti, avevano le chiavi di casa e potevano uscire ed entrare a loro piacimento. Ed era frequente sentire, sempre rivolte alla ragazza: “Non puoi pretendere che lui faccia queste cose; questi sono lavori da donne”. E si trattava per lo più di lavori domestici, considerati servili, cioè quei lavori che, in una famiglia benestante e che se lo poteva permettere erano riservati a quelle che oggi si chiamano collaboratrici famigliari, ma che allora si chiamavano ‘serve’. Tutte cose che toccavano alle donne di casa (nonna, madre, sorella). L’uomo faceva cose importanti e pesanti, e le faceva fuori di casa; e, soprattutto, faceva il soldato. Come segno ulteriore della subalternità della femmina c’era anche il fatto che a Scuola le ragazze dovevano studiare meno anni dei maschi: mentre il maschio compiva il ciclo elementare con la quinta; la femmina si doveva fermare alla terza. E anche in seguito, nonostante le cose migliorassero notevolmente, la femmina studiò fermandosi ad un ciclo sempre inferiore rispetto al maschio; fra i due, inoltre, era quasi sicuramente il fratello che andava all’università; per lei, per la sorella, era sufficiente un diploma. E anche il buon Dio pareva avere un giudizio non troppo lusinghiero nei confronti delle donne, se in chiesa le femmine non potevano avvicinarsi all’altare durante le funzioni, né essere parti attive dei riti.
Andando su con gli anni, per la donna le cose non cambiavano (o di poco). Infatti la ragazza appena fidanzata abbandonava la propria volontà all’arbitrio dell’uomo cui si era promessa. Nel matrimonio, poi. la sposa era sottoposta all’autorità del marito. Senza il consenso del quale non ardiva di fare alcunché. Non era libera nei suoi movimenti; ne doveva render conto allo sposo. La volontà del quale non si discuteva; e la moglie non poteva intervenire a modificarla. Inoltre se il marito era in pubblico assieme ad altri uomini, la moglie non ardiva contattarlo. Ad esempio, non osava andarlo a chiamare (magari perché era l’ora del pranzo, oppure perché la cena era pronta), se era in compagnia di altri amici, all’osteria o altrove. Queste iniziative venivano considerate menomazione dell’autorità maritale: “Ti fai dare ordini dalla moglie?!”. “Ma chi li porta in casa tua i pantaloni? Tu o tua moglie?”. Trasgressioni in questo senso potevano venir punite con le botte. Ché il marito aveva ‘tutto il diritto’ di picchiare la moglie. E, nel giudizio comune, quel marito che picchiava la moglie “aveva sempre le sue buone ragioni”.
Ma, a questo punto, la situazione sembrava capovolgersi. Infatti, la donna che prendeva le botte non perdeva di prestigio nella considerazione pubblica. Anzi... Un occhio nero o dei lividi nel corpo potevano significare soggezione dell’uomo al fascino sessuale di lei. Un marito che tornava dall’osteria un po’ bevuto, era spesso anche eccitato e incalorito; e quindi, per sue sospettose fantasie, pronto per un nonnulla ad attaccar lite con la moglie e facile a metterle le mani addosso. La mamma, riferendosi ai suoi primi anni di matrimonio (e parlava dei tempi intorno agli anni trenta; in seguito poi il babbo cambiò atteggiamento, diventò marito amorevole e saggio; ma in seguito un po’ tutta la civiltà si ammorbidì e la donna sempre più nella coscienza comune diventava di pari dignità e di pari diritti e doveri con l’uomo), la mamma, dunque, ci raccontava spesso, quando eravamo più grandi ed avevamo l'età per poter capire, che la domenica, quando il babbo tornava in casa per la cena, dopo essere stato all’osteria, era quasi sempre litigioso e manesco; e che solo la sera a letto riusciva a placarlo; e “allora, durante l’amore e dopo, diceva la mamma, ridiventava affettuoso e dolce come un bambino". Nelle cose del sesso, dunque, la donna sembrava dominare.
E infatti le colpe del sesso e dell’amore erano sempre a carico della donna, come all’unica regista: era la donna l’essere pericoloso che invischiava l’uomo, lo attraeva nella rete e lo portava alla rovina.
Dunque, negli affari del sesso e nei rapporti amorosi, nonostante la facciata, non sembra che ci fosse molta superiorità maschile; e l’uomo nonostante avesse la fama di essere cacciatore, in realtà era considerato preda della femmina.
Ma anche nell’ambito della vita domestica la superiorità dell’uomo era molto discutibile. Era molto più apparente che reale. Le donne, infatti, a forza di fare al posto dell’uomo, diventavano arbitre della sua vita. E l’uomo, a forza di farsi servire dalla donna, poi lui non era capace di fare più niente. Per cui, in mancanza della moglie (per malattia o morte), se non c’erano altre donne a prendersi cura di lui, il marito si riduceva alla mercé di chiunque. Diventava un ramo tagliato via dal proprio albero.
Poi... Poi con il progresso economico e sociale, anche nelle mie contrade come dappertutto da noi le cose cambiarono. E oggi sembra quasi che sia la donna ad avere la superiorità nei confronti dell’uomo.
Quale è dunque la conclusione? Non saprei che dire. Se non che ci vorrebbe più equilibrio da una parte e dall’altra. Anche perché la Natura è saggia; e quindi anche nei rapporti fra maschio e femmina ama la legge della reciproca necessità e della collaborazione. Pur nella diversità.
E io, per quel che mi riguarda, devo dire che per un certo periodo della mia vita ho coltivato con orgoglio, come fosse una mia conquista, la ‘fortuna’ di essere maschio. Ma, dopo l’impatto con il problema donna e il problema amore, ho capito con chiarezza che non era proprio il caso di parlare di superiorità o di inferiorità, per nessuno dei due sessi. Il maschio e la femmina erano alla pari di fronte alle sgarbatezze che serbava loro la vita, indifferentemente. Semmai, se proprio c’era da stabilire una superiorità, a me sembrava che qualche punto in più lo avesse la femmina.
Ma questo a livello interpersonale. Mentre, a livello di civiltà, le cose stanno molto diversamente. A livello di civiltà c’è un grande debito da pagare... Ma di questo parleremo in seguito.
Maggio 2007.
LANAM FECIT
Continuando a meditare sul problema, mi sembra di dover dire che in noi cristiani occidentali il senso di superiorità del maschio rispetto alla femmina è così radicato che neanche ci accorgiamo di possederlo. Lo abbiamo in noi, naturalmente. Perché le civiltà, di cui noi siamo figli, greco-romana ed ebraico-cristiana, sono all’insegna del maschio. Il padre degli uomini e degli dèi, Zeus/Giove, è maschio. Al maschile è il concetto di Dio degli Ebrei e dei Cristiani (ma Giovanni Paolo I, nel brevissimo tempo del suo pontificato, parlò che Dio poteva essere padre e madre insieme). Nella Bibbia i ‘protagonisti’ sono maschi. Maria, madre di Gesù... le decisioni sono state prese dall’eterno Consiglio al di fuori di lei. Nell’Iliade a proposito dell’importante duello fra Paride e Menelao, si stabilisce che Elena con tutte le sue ricchezze andrà al vincitore. Mentre nell’Odissea Penelope, accertata la morte di Ulisse, dovrà scegliere come marito uno dei Proci. Le donne non hanno una loro volontà. In Roma la massima lode per una donna era potersi, in morte, fregiare della scritta DOMI MANSIT LANAM FECIT/ FU DONNA DI CASA LAVORO’ LA LANA. E, in Livio I, 57, quei giovani mariti che avevano scommesso sulla castità e morigeratezza delle loro mogli mentre loro erano al fronte (“la mia è più seria delle vostre”), avevano dovuto ammettere che solo Lucrezia, moglie di Collatino, aveva ottenuto la palma della vittoria; perché, mentre avevano trovato le altre che, in assenza dei mariti, si davano buon tempo, giunti inaspettati a Collazia, a casa di Lucrezia, l’avevano trovata che assieme alle sue ancelle, pur essendo notte avanzata, vegliava al lume della lucerna lavorando la lana: Pergunt Collatiam, ubi Lucretiam nocte sera deditam lanae inter lucubrantes ancillas in medio aedium sedentem inveniunt. E perciò Muliebris certaminis laus penes Lucretiam fuit.
La donna esclusa dalla vita sociale e relegata in casa. Una specie di angelo del focolare.
Siamo impastati di superiorità maschile. E solo con un atto di volontà possiamo pensare diversamente.
E in queste mie riflessioni, mi viene anche in mente che noi al liceo, suggestionati dalle figure di Dante, di Boccaccio, di Petrarca, dell’Ariosto, del Tasso ..., si diceva, e anch’io lo dicevo, che ‘per forza l’uomo è superiore alla donna; infatti, potevamo forse immaginare una donna come poeta della Divina commedia oppure come scrittrice del Decameron? o come autrice dell’Orlando furioso o della Gerusalemme liberata? No. E dunque... E di tanto eravamo contenti, perché ci sembrava una verità così semplice e ovvia che non c’era bisogno di doverla convincere.
Mentre invece non è una verità ovvia. Perché non è neanche una verità. E’ solo il risultato di un’enorme prevaricazione, di un’indebita spoliazione; che ha sottratto alla Civiltà (e sta ancora sottraendo) una buona metà delle sue risorse umane: quelle nel cuore e nell’intelligenza delle donne. Nessuna donna fu Dante, perché non si è permesso loro di poterlo essere.
E sono sicuro che tutte le donne che non furono e che non poterono essere Dante, Petrarca, Ariosto, Alfieri, Leopardi; che non poterono essere Platone o Kant, oppure Archimede o Galileo, che non poterono essere Annibale o Napoleone, reclamano al cospetto della Storia e della Civiltà di essere vendicate di questa loro spoliazione subita.
E siamo tanto abituati a elogiare l’uomo e a lasciare in ombra la donna, che anche per le donne della fantasia siamo in un certo senso ingenerosi. Quando pensiamo per esempio a Laura del Canzoniere oppure a Silvia degli Idilli, diciamo “è il Petrarca che l’ha creata” oppure diciamo “è il Leopardi che l’ha creata”. E non ci viene in mente di pensare il viceversa. Non ci viene in mente di dire che queste donne sono loro, per come erano fatte nella realtà, che hanno messo dentro i loro poeti quel cuore che poi le ha cantate.
Provatevi a levare Beatrice dalle vie di Firenze, oppure Laura dalle piazze di Avignone, e non avete più neanche Dante e neppure il Petrarca. E così si può dire per la maggior parte dei poeti. Si può quasi dire che ogni poeta è il risultato della donna o delle donne che lo hanno creato.
E’ vero. Nei confronti dell’universo femminile noi, nonostante le conquiste di questa nostra civiltà, abbiamo un grande debito da pagare. E non so se e quando saremo in grado di poterlo pagare. 09.01.08. Autore. Carlo Lorenzini.